Bisogna essere Spartani

A Olimpia, una volta, durante lo svolgimento degli antichi giochi olimpici, un vecchio avrebbe voluto assistere alle gare, ma non trovava posto a sedere: girava qua e là per le tribune, e tutti lo deridevano respingendolo e sbeffeggiandolo. 

Quando però arrivò nel settore degli Spartani, tutti i giovani e molti uomini adulti si alzarono per cedergli il posto.

L’intero stadio reagì a questo gesto con un applauso e con grida di approvazione; il vecchio, scuotendo il capo canuto e il candido mento, disse fra le lacrime: "Povero me! Tutti i Greci sanno quel che è giusto fare, ma solo gli Spartani lo fanno".

Un racconto che dovrebbe farci comprendere le analogie di alcuni comportamenti contemporanei.

Per vivere nel giusto bisogna essere Spartani.

(Yuri Di Benedetto) 


Il piede calpestato

Può capitare di calpestare il piede o di far involontariamente male a qualcuno. Basta chiedere scusa e tutto si appiana.
Può capitare di dire una stupidaggine o di fare una gaffe. Basta chiedere scusa e la tensione si stempera.
Può capitare di non rendersi conto di un errore. Basta chiedere scusa e la soluzione si avvicina.

Quando, senza volerlo, procuriamo un dolore o facciamo del male al prossimo, non mostriamo debolezza se domandiamo scusa. Anzi, dimostriamo forza, consapevolezza, capacità di riflessione e di autocritica, maturità.

Oltre a essere consci di possedere uno dei tesori più rari dell'epoca postmoderna: l'Educazione.

L'Educazione è spesso sottovalutata e, molte volte, completamente travisata. Si tende spesso a ritenere "Educazione" l'aderenza a un'etichetta, a un codice, a norme di vario tipo. In realtà, l'Educazione è un modo di porsi, uno slancio emotivo, una dimostrazione (a noi stessi prima che agli altri) di crescita e di autogoverno, una consapevolezza dei limiti da non superare per poterne superare altri.

L'Educazione è prima di tutto educarsi, poi educare.

Il nemico è l'America

Negli istanti immediatamente successivi al Secondo Conflitto Mondiale, il filosofo tedesco Martin Heidegger, in un appunto recentemente apparso nella raccolta dei cosiddetti “Quaderni Neri”, avanzò l’ipotesi che il sistema introdotto dagli Alleati in Germania avrebbe finito per trasformarsi in una forma di dittatura ben più subdola rispetto a quella hitleriana. Così ebbe modo di scrivere nel suo diario: “Per quanto tremende da sopportare siano la distruzione e la devastazione che adesso sopraggiungono sui Tedeschi e sulla loro terra natia, tutto questo non raggiungerà mai l’autoannientamento che ora, nel tradimento al pensiero, minaccia l’Esser-ci”.

Nella seconda metà degli anni ‘60, il pensatore situazionista francese Guy Debord, definì l’ideologia democratica come la “libertà dittatoriale del mercato temperata dal riconoscimento dei diritti dell’uomo spettatore”. Essa è l’espressione di un mondo rovesciato in cui la realtà sorge nello spettacolo e lo spettacolo stesso diviene la sola unica realtà. “Questa reciproca alienazione – continua Debord – è l’essenza e il sostegno della società esistente”.

Ma le critiche alla democrazia non sono una prerogativa del XX secolo. Queste, infatti, non mancavano sin dai tempi dell’antica Grecia.

In un testo pubblicato nel 2018 dalle Edizioni all’insegna del Veltro sotto il titolo Il regime politico degli Ateniesi (Athenaion Politeia), l’autore considera la democrazia non come il “governo del popolo” ma come il governo delle canaglie (oi poneroi). D’altronde, che la democrazia fosse il peggiore dei regimi possibili l’aveva affermato anche Alcibiade, secondo cui tale sistema altro non era che una “follia universalmente riconosciuta”.

Non sorprende che tale follia abbia trovato la sua massima espressione moderna nell’emisfero occidentale, quell’“Occidente” che la mistica islamica definiva, in linea con l’idea greca di “governo delle canaglie”, come la “fossa dei reietti”. E non sorprende che la democrazia, sin dall’antichità, sia intrinsecamente collegata alla talassocrazia: al controllo del mare e dei flussi commerciali che scorrono su di esso.

Uomo Spirituale e Uomo Religioso

L'Uomo Spirituale è consapevole della propria inferiorità e incompiutezza. C'è, sopra di lui e fuori di lui, qualcosa di più potente e di più completo. C'è la Natura, le sue forze, il suo istinto di conservazione, la sua volontà, il suo ordine naturale. L'Uomo Spirituale riconosce che, oltre le ossa e la carne, c'è molto altro: spirito, demone, anima, pensiero, idea, sentimento, emozione, passione.

Non ha bisogno di altari d'oro e marmo: gli basta una pietra, un tronco d'albero, una insenatura.
Non ha bisogno di dogmi: vive la propria spiritualità naturalmente, semplicemente, umanamente.
Non ha bisogno di una gerarchia, di ministri del culto: può essere egli stesso sacerdote del culto.

L'Uomo Religioso, invece, è profondamente diverso. La sua spiritualità è innanzi tutto esteriore. Ha bisogno di formalismi, di codici, di dogmi. La Natura è spodestata dal suo altare: al suo posto viene messo un Dio, che è padrone e creatore della Natura stessa. L'esistente perde la propria divinità e un'altra entità, trascendente, se ne impadronisce. Nulla è più divino, tutto diviene creazione.

Egli ha bisogno di altari, meglio se d'oro e marmo.
Egli ha bisogno di dogmi, di libri sacri, di agiografie, di tribunali in cui uomini interpretano la volontà del Dio.
Egli ha bisogno di una gerarchia, di ministri del culto, di interpreti della volontà divina: lui, da solo, non ne sarebbe capace.

La contemporaneità tende a identificare i due uomini. L'idea che spiritualità e religione siano sinonimi o, addirittura, identici, è uno dei principali inganni della post-modernità. Identificando i due termini si combatte una sola volta, invece che due, il grande nemico dell'unica divinità contemporanea: il Potere, economico in primis, poi politico, sociale e, infine, culturale.

L'Occidente è tramontato, l'Europa diventi Eurasia

Ogni organismo vivente conosce quattro fasi: infanzia, giovinezza, maturità, vecchiaia. Non esiste pianta, animale, essere umano, popolo, nazione, organizzazione sociale, regno, repubblica, impero, stato che non sia soggetto a questa ferrea legge naturale. Sempre è stato così, sempre così sarà.

Chi ama "el ingenioso hidalgo Don Quijote" può tranquillamente condurre la propria personale battaglia contro i mulini a vento, immaginando di poter fermare la decadenza della nostra epoca rifugiandosi in un nostalgico conservatorismo o tuffandosi in un menzognero progressismo. 
Chi invece conosce la ferrea legge della Decadenza sa che stiamo vivendo il Kali Yuga, il tramonto del cosiddetto Occidente. Che si tratti di Cultura o Civilizzazione, la vecchiaia ha ormai preso il sopravvento. Non c'è più nulla da salvare, né radici da cui ripartire.

Rovine, solo rovine, null'altro che rovine.
Rovine del Novecento, a cui si sommano, giorno dopo giorno, le rovine del Nuovo Millennio. Un millennio che non vedrà il cosiddetto Occidente come guida spirituale e materiale dei popoli e dei singoli individui. Il sole sorge sempre a Oriente.

La stessa Europa deve rendersi conto dell'inevitabile. L'Unione Europea, che è cosa diversa, anzi opposta, all'Europa, è nata per camminare sul sentiero che il sistema economico e, quindi, politico-culturale dominante ha battuto e puntellato, soprattutto dopo la sconfitta del socialismo reale.
Questo sentiero è destinato al baratro, ormai è palese. L'alleanza, per non dire la sudditanza, con gli Stati Uniti d'America è solo l'ultimo stadio della decadenza europea. L'alternativa, paventata dai populismi e dai sovranismi di ogni risma, di tornare agli stati nazionali di stampo giacobino, e cioè l'idea di ricominciare a dividerci in italiani, francesi, spagnoli, tedeschi, convincendosi e convincendoci che si possa smettere di essere europei, è persino più stupida della stucchevole tracotanza di chi ciancia di Stati Uniti d'Europa. Chi vuole tornare alle bandierine nazionali e chi vuole continuare a suonare lo spartito liberale e capitalista dell'Unione Europea non sono in antitesi, ma due facce della stessa medaglia.

L'alternativa vera, reale, feconda, da cui potrà rinascere una nuova civiltà europea, stavolta non più occidentale, è rappresentata dall'unione con l'Asia. Per dirla con un termine recentemente impostosi nel dibattito politico internazionale: Eurasia.
L'Occidente sta tramontando, forse è già tramontato, ma non ce ne siamo ancora accorti tutti. L'Europa "occidentalizzata" è destinata a morte certa. L'unica speranza è la nascita di un'Europa "orientalizzata", che guardi alla Russia e alla Cina. 

Europa, Russia, Cina: un'Eurasia così formata sarebbe la più grande potenza che la storia dell'umanità abbia mai conosciuto. La Nato diventerebbe un trattatello da relegare ai libri di storia, il liberalismo cesserebbe all'istante di essere l'ideologia dominante, il capitalismo morirebbe. 
Il futuro dell'Europa sarà l'Eurasia. O non sarà.

La mia Libertà

La libertà di attendere sei ore in fila per comprare l'ultimo modello di I-phone non è la mia Libertà e non spenderò una goccia di sudore per difenderla.
La libertà di assaltare un supermercato per comprare un paio di scarpe o di pantofole col logo del suddetto non è la mia Libertà e non perderò un minuto di tempo per tutelarla.
La libertà di pensare con la pancia e di parlare col deretano non è la mia Libertà e non sacrificherò una parola per sostenerla.

La mia Libertà è libertà dello Spirito, dell'Azione figlia di un Pensiero, della Parola partorita dall'Idea. 
Cose che la massa beota che affolla i centri commerciali per comprare a comando futilità d'ogni genere non potrà mai capire.
Mai.

Scimmie

C'è una stucchevole volontà di incasellare, di etichettare. Il covid19 ha acuito tale volontà: o si è "negazionisti", o si è "covidioti".

Chi si pone delle domande e avanza critiche all'una o all'altra schiera? Per lui non v'è etichetta, quindi non va contemplato.

Scimmie.

Eccetto pochi Uomini, non vedo altro che scimmie. Sicure di avere la verità in tasca, convinte di aver scoperto questo o quel complotto.

Scimmie.

Non basta restare umani, bisogna tornare Uomini

Restiamo umani.
Ce lo ripetono continuamente. Ce lo ripetiamo ogni giorno.
Ogni volta che accade una tragedia. Ogni volta che l'umanità pare scomparire dietro le menzognere vesti del sedicente Progresso. 
Ogni volta che la Modernità mostra il proprio volto disumano, noi ci diciamo di restare umani.

Non basta.
Di fronte alla cloaca immonda che ci circonda, il Mondo Moderno dalle magnifiche sorti e progressive, non basta restare umani.
Bisogna ritornare ad essere Uomini. 
Ritornare, è questa la nostra Rivoluzione. Perché Rivoluzione - per chi non lo sapesse - deriva dal latino Revolutio. Significa "ritorno". 

L'Umanità attuale ha pochi uomini e troppe amebe. 
La nostra Generazione ha questo compito: rivoluzionare la contemporaneità.
Per farlo, deve "ritornare".
Ritornare ad essere Uomini.

"Credo nell'Uomo. Non nell'Umanità."

Look Down

Incatenati.
Così ci sentiamo, noi. 
La Plebe. 

Incatenati nel pensiero e nell'azione, nel desiderio e nell'atarassia, nella tregua e nel conflitto. Le catene che ci cingono idee e movimenti sono invisibili agli occhi della Natura. Eppure opprimono, stringono i polsi fino a farli sanguinare.

E il Potere ride. Guarda in basso, osserva le nostre catene, si compiace. 

Eppure dovrebbe saperlo: è pericoloso ridurre un Uomo in condizione da non aver nulla da perdere. Fuorché le catene. 

Futuro primitivo

Basta aprire un dizionario.
"Rivoluzione": dal latino tardo revolutio -onis "rivolgimento, ritorno".
L'etimologia ha un valore intrinseco nel definire l'esistente.
La Rivoluzione non è un vaneggiare di magnifiche sorti e progressive di un indefinito futuro. Non è una folle corsa in avanti, verso baratri e abissi. Non è un mero progressismo accelerato all'ennesima potenza.

Rivoluzione significa ritorno.
Rinverdire teorie e pratiche più o meno antiche, ma mai vecchie.
Significa sconfiggere il Male alla radice.
Ritornare a quando la società gerarchica e classista, in cui ancora oggi viviamo, ha preso il via. 
Eravamo cacciatori e raccoglitori. Vivevamo insieme alla Natura, nella Natura.
Poi diventammo sfruttatori: della flora, della fauna, degli altri uomini, della Natura tutta. E così via, per millenni.
Fino ad oggi. 

Il futuro. O sarà primitivo, o non sarà.

"C’è stato un tempo in cui la natura non era un avversario da conquistare, da addomesticare in ciò che è sterile. Ma abbiamo viaggiato ad una velocità accelerata, sollevando raffiche di progresso alle nostre spalle, verso un maggior disincanto, la cui impoverita totalità mette adesso in pericolo sia la vita che la salute."

(John Zerzan)

Piegarsi vuol dire mentire

Mi capitò un libro tra le mani. Trattava di taoismo e di arti marziali, mia antica passione. Mi colpì subito una metafora: bisogna essere come la canna di bambù, che si piega al vento senza mai spezzarsi. Poche pagine dopo vi era un'altra metafora: l'uomo che vuole essere quercia vedrà i suoi rami spezzarsi sotto il peso della neve che cade; l'uomo che saprà essere salice piegherà i suoi rami fino a far cadere la neve in terra.

Entrambe le metafore, in pratica, riprendevano l'antico adagio "meglio piegarsi che spezzarsi". Quel giorno, leggendo quel libro, promisi a me stesso e al mondo che avrei preso la strada opposta, in direzione ostinata e contraria. Mi sarei spezzato, ma non mi sarei piegato. Di fronte al padrone, di fronte alla società, di fronte agli usi e costumi del mio tempo, di fronte alle mode del momento. 
"Meglio spezzarsi che piegarsi", mi ripeto da quel giorno.

Anni dopo, assecondando il più antico dei miei vizi, ovvero la Poesia, mi imbattei in un libro di un tale. Erich Mühsam, questo era il suo nome. Poeta tedesco, secondo le antologie. Poeta libero, mi parve immediatamente. Lessi i versi di una sua poesia, Il Prigioniero. Quei versi, ancora oggi, mi danno ragione:

"Non ho imparato per tutta la mia vita
a piegarmi ad una costrizione estranea.
Adesso mi hanno incarcerato
allontanato da moglie e opera.
Ma anche se mi ammazzano:
Piegarsi vuol dire mentire!"

(E. Mühsam)

Maturazione

Devo, dobbiamo maturare.
L'ennesima ubriacatura elettoralistica ha dimostrato, se mai ve ne fosse ancora bisogno, quanto sia lontana la maturazione dell'Uomo e dell'Umanità. Coloro che hanno la capacità di pensarsi e di agire in maniera autonoma, autogestendosi e auto-organizzandosi, sono troppo pochi. La stragrande maggioranza delle persone non tenta nemmeno di emanciparsi, sfuggendo ai gangli della delega, della rappresentanza, del Potere. 
Non è nemmeno un discorso di classe: Patrizi e Plebe, borghesi e proletari, inclusi ed esclusi, tutti preferiscono delegare a un altro le scelte riguardanti il proprio quartiere, il proprio comune, la propria regione... fino al proprio pianeta. Se dei patrizi, dei borghesi, degli inclusi ci frega il giusto, della Plebe ci interessa molto di più il livello di emancipazione. Anzi no, di maturazione, perché è di questo che stiamo parlando. Secoli, millenni di schiavitù economica, politica, psicologica, fisica, spirituale, hanno rallentato il processo di maturazione di tutti e di ciascuno. 

Ieri si è votato per un referendum sulla diminuzione della rappresentanza e per il governo di alcuni comuni e regioni. Oltre due cittadini su tre si sono recati alle urne. A fare che? Con quale progettualità? Con quale capacità di incidere davvero sulle decisioni che questo o quel eletto prenderanno nei prossimi mesi o anni?
Zero. Il voto, espresso in questi termini e in queste modalità, esprime una potenza pari a zero. Specifico: in questi termini e in queste modalità, perché vorrei sempre evitare di essere affetto da quel "cretinismo astensionista" di cui parlava Camillo Berneri. 

Ieri è stato legittimato, ancora una volta, lo status quo.
Ma siamo troppo immaturi per capirlo.

"Cinquemila anni di esperienza ci dimostrano che non possiamo affidare la gestione delle nostre vite a re, preti, politici, generali, e commissari provinciali.”
(Edward Abbey)

Astensionismo

"Il sistema rappresentativo, ben lungi dall'essere una garanzia per il popolo, crea e garantisce, al contrario, l'esistenza permanente di una aristocrazia governativa contro il popolo stesso ed il suffragio universale è unicamente un mezzo eccellente per opprimere e rovinare un popolo in nome proprio di una pretesa volontà popolare, presa come pretesto, o un gioco di prestigio grazie al quale si nasconde il potere realmente dispotico dello Stato, basato sulla Banca, la Polizia e l'Esercito."
(Michail Bakunin)

"Se votare cambiasse qualcosa, sarebbe illegale."
(E. Goldman)

"La differenza tra una democrazia e una dittatura è che in una democrazia prima voti e poi prendi ordini; in una dittatura non devi perdere tempo a votare."
(C. Bukowski)

"Una massa che deleghi la sua sovranità, cioè la ceda a pochi singoli uomini, vi rinuncia, poiché il volere del popolo non è trasferibile come non lo è il volere del singolo. L'operazione elettorale è nello stesso tempo espressione e annientamento della sovranità della massa."
(R. Michels)

"Le pecore vanno al macello. Non si dicono niente, loro, e niente sperano. Ma almeno non votano per il macellaio che le ucciderà, e per il borghese che le mangerà. Più bestia delle bestie, più pecora delle pecore, l'elettore nomina il proprio carnefice e sceglie il proprio borghese. Ha fatto delle rivoluzioni per conquistarne il diritto..." 
(O. Mirbeau)

"In un regime totalitario la volontà del popolo non conta: ci sono dei manganelli per sistemare tutto. Ma se lo stato non può più fare uso del bastone il popolo può alzare la voce, allora bisogna controllarne il pensiero con la propaganda, fabbricando il consenso e con delle semplificazioni allettanti per ridurlo all'apatia. La comunicazione sta alle democrazie come la violenza sta alle dittature."
(Noam Chomsky)

Eclettismo

Michelangelo fu scultore, pittore, poeta.
Leonardo fu... qualsiasi cosa, praticamente.
Sapere e saper fare: non per questo o quel padrone, ma per l'Umanità.

Vivo nell'epoca della specializzazione.
Il Sistema chiede a ognuno di imparare una sola cosa e di farla bene, benissimo, di più. Le aziende, le fabbriche, persino le scuole e le università, sono strutturate in questo modo. L'eclettismo è sempre mortificato, a meno che non serva a questo o quel padrone: allora la capacità di pensare e fare altro diviene, improvvisamente, utile e meritoria. 
Se chi ti sta sopra ti chiede un guizzo, allora sarai apprezzato. Se avrai un guizzo non richiesto, sarai criticato, frenato, emarginato, forse persino punito.
Il tuo sapere e il tuo saper fare devono essere orientati solo a ciò che serve al Sistema e ai suoi padroni. Nessun'altra possibilità è data.

Ribellarsi a questo infame disegno che imbriglia, che ingabbia coscienze e conoscenze deve essere un imperativo per l'Uomo libero e per l'Umanità Nova. L'eclettismo deve tornare ad essere ciò che fu nel Rinascimento e in altre epoche della storia umana: valore incommensurabile, ideale verso cui tendere, commistione di capacità aventi come fine il miglioramento della vita delle persone e non l'aumento della produttività e della competitività mercantile, la crescita del PIL e altri disumani parametri contemporanei.

"Sviluppa tutta la tua vita in tutte le direzioni, opponi alla ricchezza fittizia dei capitalisti, la ricchezza reale degli individui possessori di intelligenza ed energia." 

(Émile Henry)

Perché non votiamo

"I. Né eletti, né elettori.

Per quanto già molte volte, sia nelle nostre conferenze come sui nostri giornali ed opuscoli, abbiamo fino a sazietà risposto e dimostrato perché noi anarchici non dobbiamo essere né eletti né elettori, pur tuttavia i vecchi pregiudizi che annebbiano la mente di gran parte dei lavoratori, l'arte subdola di cui sono maestri i politicanti di ogni colore, ci mettono sempre nella condizione di dovere difenderci da attacchi, ora apparentemente benevoli, ora addirittura vili e triviali, coi quali lo studio degli illusi o degli intriganti cercano di menomare la propaganda nostra, affinché non sfugga dalla loro tutela il gregge elettorale, di cui essi hanno bisogno per salire le comode e lucrose scale del potere. E lo scopo principale per cui questi uomini tanto si affannano, intrigano, corrompono, intimidiscono è per raggiungere il posto privilegiato di legislatori, mediante il quale essi possono non già rendersi interpreti della volontà di chi li elesse a deputati; ma imporre la propria e incanalare le risorse e le attività di un popolo a loro beneficio e della classe cui appartengono.

Questa è una verità troppo vecchia e resa fin troppo evidente dai fatti di tutti i giorni. Nessuno aspirerebbe al potere se questo non procacciasse dei vantaggi, dei privilegi morali, politici ed economici. Quindi il potere è per sua natura ingiusto e corruttore. Ma oltre a questa elementarissima considerazione che non può sfuggire neppure ai più bonari osservatori, ne dobbiamo fare altre ben più importanti e che sono precisamente quelle che ci fanno essere dei ferventi propagandisti dell'astensionismo nelle elezioni politiche ed amministrative. Il nostro atteggiamento e le ragioni per cui adottiamo questa linea di condotta diversificano assai dagli altri partiti o rivoluzionari o reazionari che accettano l'astensionismo, come ad esempio i mazziniani ed i clericali intransigenti. Noi non siamo astensionisti in forza di qualche pregiudiziale o perché il potere invece di avere una forma democratica repubblicana l'ha borghese e monarchica, oppure perché non è schiettamente clericale o papalina; ma perché noi siamo avversi ad ogni forma di potere costituito, perché ogni potere costituito rappresenta una sopraffazione, una violenza, un'ingiustizia.

Comprendiamo che i mali sociali si eliminano eliminando le cause che li generano, quindi logicamente siamo avversi allo Stato, qualunque sia la sua forma, perché questo rappresenta un tiranno che sta sul collo dei cittadini; un grande parassita dalle mille branche che sa tutto assimilarsi, tutto carpire senza nulla dare. Comprendiamo che accettare per principio che altri pensino per noi, studino per noi, facciano per noi è un condannarci all'inattività, è rinunciare alla nostra indipendenza, è lasciarci atrofizzare lo spirito d'iniziativa sia nel campo del pensiero che dell'azione. Un uomo, un popolo è forte, è capace di sostenere efficacemente la lotta per la vita, ed anzi riesce a trionfare sulle difficoltà che gli si parano innanzi, a misura dello spirito d'indipendenza e d'iniziativa di cui è animato. Invece la tattica elezionistica abitua gli uomini ed i popoli alla passività, tutto si limita a fare la fatica di eleggersi un rappresentante, ad accentrare così in poche mani il potere e quindi l'avvenire di un'intera nazione.

Perciò noi anarchici siamo convinti che la massima indipendenza sia dell'individuo, come di ogni singola collettività umana, sia una condizione indispensabile di rapido progresso e di sviluppo su ogni ramo di attività e una eliminazione di parassitismo e di ogni ingombrante e dannosa burocrazia. Non bisogna metter l'uomo nelle condizioni che possa diventare il padrone dell'altro uomo; non bisogna concedergli né riconcedergli un'autorità, di cui poi tutti debbano sopportare le conseguenze dannose e subire gli errori e le ingiustizie che vengono consumate in nome di un potere da noi stessi eletto. Il potere per sua natura deve sviluppare due grandi mali che paralizzano la vita di un intero popolo, e cioè l'accentramento e la burocrazia. Stabilire che a Roma si debbano discutere, approvare, dare ordini, regolare i rapporti e gli interessi che riguardano collettività che risiedono a Milano, Torino, Palermo, ecc. è quanto di più errato si possa pensare e stabilire. Tutti anche nelle più dolorose circostanze hanno potuto constatare il grande fallimento dello Stato. Infatti questo che viene costituito, secondo i suoi sostenitori, per tutelare con maggiore potenzialità, minor dispendio di forze e unità d'intenti l'interessi delle collettività che deve amministrare, in pratica ha solo saputo meritarsi la critica e l'imprecazione generale, perché invece di scongiurare dei mali, di limitare i danni con pronti provvedimenti, ha dato prova di noncuranza, di una spaventevole lentezza, causata dal suo mostruoso ingranaggio burocratico. Il recente disastro calabro-siculo informi. La logica dei fatti impone dunque di non dover dar mano ad erigere delle istituzioni, il cui esponente rappresenta quanto di male possa colpirci. Ognuno confronti il funzionamento dello Stato, che impone ai suoi rappresentanti ed esecutori l'attesa d'ordini anche nelle circostanze più gravi, col mirabile risultato che sa sempre dare l'iniziativa individuale e collettiva, ed avrà subito una dimostrazione chiara delle verità che noi andiamo da molti anni propagandando e che vengono chiamate utopie, solo perché troppo grandi e perché impongono un mutamento radicale delle attuali condizioni di cose. Tutti si devono convincere che invece dell'inutile e pesante macchina dello Stato, i popoli hanno bisogno per il loro benessere di abbattere tutti gli Stati, siano essi democratici o reazionari, per poter più presto e bene stabilire tra di loro dei rapporti di scambio rapidi, diretti e mutabili a seconda dei bisogni e delle innovazioni che vengono introdotte nelle arti, nelle scienze e nelle industrie.

Lo Stato che in tutti i paesi del mondo non sa far altro che opera paralizzatrice delle individuali energie e il grassatore delle fatiche altrui, deve essere combattuto e non aiutato, deve essere abbattuto e non modificato. Quindi, o lavoratori, quando coloro che ambiscono di diventare i monopolizzatori di tutto, sciorineranno molti sofismi e vi useranno tutte le blandizie che il loro animo d'ipocriti dominatori sa abilmente trovare, ricordatevi che voi non dovete concorrere a dare vita allo Stato; voi non dovete concorrere a nominare gli uomini che lo impersonificheranno; voi se volete far trionfare la libertà e la giustizia non dovete essere né eletti né elettori.


II. Illusioni sulla legislazione sociale

Quei repubblicani, quei socialisti e tutti coloro che nutrono fiducia sulla legislazione sociale, credono di usare contro di noi l'argomento principale quando ci dicono, quando dicono ai lavoratori che è necessario che la classe diseredata abbia in seno al parlamento - istituzione borghese - i suoi diretti rappresentanti, i suoi deputati che portino in quell'ambiente grigio la eco delle proteste e dei dolori dei poveri paria dei campi, delle miniere e delle officine. "Siamo in pochi, questi democratici politicanti dicono, perché non vi è il suffragio universale, arma potente assai temuta dalla borghesia. Aiutateci a conseguire questo diritto per tutti i cittadini, per tutti i lavoratori e noi avremo fatto un gran passo verso l'emancipazione sociale". A parte gli esempi che si potrebbero citare di paesi dove il diritto al voto è più esteso che non in Italia; a parte i risultati incerti che si potrebbero ottenere se tutta la massa acefala potesse ancor più in modo pecorile essere guidata alle urne a compiere l'alto dovere civico!!!; a parte le ragioni d'indole morale dette nel precedente capitolo, vi è da tener conto della resistenza tenace, e nei più dei casi anche violenta, che sa usare ogni singolo privilegiato contro chi vuole strappargli una parte dei privilegi che ha saputo imporre alla grande maggioranza dei produttori con ogni sorta di astuzie e di frodi. Vi è stato un tempo in cui quando l'astuto poliziotto Giolitti amoreggiava coi generali del socialismo italiano - momento di vergognoso amplesso che essi oggi vorrebbero che fosse da tutti dimenticato e che ha provocato persino un segreto convegno a Bardonecchia fra Giolitti ed il futuro ministro Filippo Turati - allora tutti decantavano i trionfi della legislazione sociale ed i 50 milioni (!!) guadagnati dal proletariato nelle sue ultime agitazioni.

Venne la realtà cruda dei fatti a dissipare la vacuità delle parole, gli eccidi proletari imposero silenzio ai politicanti della frazione estrema, i quali di fronte all'indignazione generale dei lavoratori dovettero bruscamente troncare i loro incestuosi amori, seguire la piazza e perdere qualche seggio a Montecitorio. Anche allora, come in altre occasioni, la borghesia che si era seriamente preoccupata della rapidità ed estensione colla quale seppe il proletariato proclamare lo sciopero generale politico, e comprendendo quanto era per lei pericoloso che i lavoratori abbandonassero le vie legali ed incominciassero ad usare l'azione diretta, se la prese coi capi popolo, scagliò contro costoro tutta la sua stampa prezzolata, incitò i locandieri, gli affitta camere, la piccola borghesia, lo stuolo dei servitori delle istituzioni perché facessero vile ed assordante coro contro i lavoratori, perché avevano osato - ahi purtroppo! solo per qualche giorno - di protestare con un po' di energia contro i sistematici assassinii di poveri affamati, di smunte donne e di miseri piccini. Anche quella misera borghesia che si compiace in tempi di bonaccia di farsi chiamare liberale, seppe con eguale veemenza e criteri reazionari condannare l'impulso generoso dei lavoratori, seppe con non minore rabbia fare pressioni contro i duci delle schiere proletarie, contro i politicanti dei partiti popolari, affinché richiamassero i ribelli alla consuetudinaria docilità e alla cieca fiducia nella legislazione sociale.

La borghesia più intelligente comprese che il concedere alla classe sfruttata qualche riconoscimento ufficiale e accettare il principio della legislazione sociale, non costituiva per essa alcun pericolo. Quello che seriamente teme e che vuole con ogni mezzo scongiurare è la sfiducia nei metodi legalitari; non vuole che si dilaghi fra la grande massa lavoratrice la fiducia nell'azione diretta, nell'azione singola, nell'azione prettamente rivoluzionaria, perché assai bene comprende che questa segnerebbe il principio della sua fine. Ecco perché noi anarchici moviamo aspra guerra ai nostri avversari che adescano i lavoratori col miraggio dei grandi (??) benefici della legislazione sociale. I poveri abbrutiti dalle fatiche, dalla miseria e dall'ignoranza ascoltano questi progettisti delle pacifiche conquiste, prendono tutto sul serio, credono che basti stabilire con un articolo di legge un miglioramento qualsiasi perché venga dopo poco attuato; imparano a venerare i loro leggiferatori come gli antichi cristiani veneravano il loro Cristo; ed intanto il tempo scorre ed i senza pane ed i senza tetto continuano la loro parte di docili macchine produttive, seguitando a produrre per altri e lusingandosi sempre di vedere spuntare per opera della legislazione sociale il simbolico e decantato sole... dell'avvenire apportatore di benessere e giustizia per tutti.

Intanto messi su una falsa via iniziano agitazioni sterili, che non danno né possono dare alcun pratico risultato, vanno dietro ora a questo ora a quell'arruffone politicante; chiedono i pochi soldi di aumento di salario, lusingandosi che tale aumento procaccerà loro maggiore benessere, mentre invece non s'accorgono che per la legge ferrea del salario, derivante dall'attuale sistema di economia politica, essi concorrono a far rialzare artifiziosamente il costo generale della vita - a maggiore vantaggio degli sfruttatori - ed essi rimangono sempre dei poveri diseredati, coloro che tutto devono pagare e che per tutti devono soffrire. Fino a tanto che rimarrà saldo come principio la proprietà privata e il salario costituirà la pietra di paragone del compenso del lavoro umano; fino a tanto che i principi della finanza saranno lasciati i padroni delle ricchezze ed i monopolizzatori di tutti i prodotti, saranno pure i trionfatori del potere, gli alleati, i protetti e gli ispiratori dello Stato e della Chiesa, ed ai lavoratori, ad onta delle apparenti concessioni e miglioramenti, rimarrà soltanto quanto loro necessita per non morir di fame. I pingui e tristi eroi dell'oro cedono soltanto quando sono costretti a farlo, e a tutta quella gente che s'illude ed illude di poter armonizzare il capitale col lavoro, non potrebbe danneggiare maggiormente gli interessi dei non abbienti.

Si prova un profondo disgusto a vedere della gente che vorrebbe passare per sincera e per chiaroveggente, dimenticare i punti sostanziali della questione sociale e per amore di un vile seggio nelle amministrazioni pubbliche o al parlamento smorzare ogni ardore giovanile, soffocare ogni impeto generoso, e, per rendersi accetti a tutti gli elettori delle diverse graduazioni politiche e sociali, smussare tutte le angolosità del proprio pensiero, e anzi fare dei veri sforzi per renderlo incomprensibile e accettabile alla massa amorfa, che non sa pensare né vuole fare sforzi per comprendere. E più disgusto suscitano quei giovani, che dicono di appartenere alle file dell'avanguardia del socialismo, quando si vedono prendere parte attiva agli ibridi connubi ed affannarsi per andare alla ricerca di un candidato qualsiasi, perché questi si prenda il disturbo di fare qualche piccola promessa e qualche insignificante dichiarazione di fede incerta. No, in questo caso meglio è trincerarsi nel silenzio, se non si sa o non si vuole risvegliare l'animo sopito del popolo. Se essi non vogliono essere i pionieri di ardenti verità, se non vogliono essere i pugnaci combattenti contro le cattive presenti istituzioni e conto uomini corruttori e corrotti, almeno non partecipino agli intrighi, abbandonino il popolo a se stesso piuttosto che ingannarlo, piuttosto che trascinarlo in vie contorte che lo fanno allontanare dalla soluzione del tormentoso problema sociale. Se invece veramente amano il popolo, se vogliono educarlo, incoraggiarlo e consigliarlo, essi devono rimanere col popolo e fra il popolo. Da questo trarranno sempre novella audacia ed eviteranno così il pericolo di diventare le giudiziose scimmie ammaestrate del baraccone nazionale.


III. Che fare?

Arrivati a questo punto mi pare di sentirmi da ogni parte rivolgere la domanda: Che fare dunque? Io rispondo con una sola parola: la rivoluzione. Questo malessere generale che ormai si acutizza in tutte le classi dei lavoratori - siano essi operai manuali o cultori del genio o del fecondo pensiero - si estende anche nelle altre categorie meno potenti, meno privilegiate, le quali cercano con ogni mezzo di non essere completamente travolte dalla lotta per la vita. Questo disagio quasi generale rappresenta le prime scosse della terra in quel punto dove non si è ancora definitivamente assestata, e l'assestamento verrà dopo una grande scossa, dopo un tremendo terremoto. Quindi anche la natura c'insegna che noi non possiamo mutare radicalmente i rapporti economico-sociali se non compiamo l'atto rivoluzionario, l'atto definitivo che deve completare, anzi attuare, quella rivoluzione che già è avvenuta nel pensiero nostro. Tutto il resto è vana retorica, se non è spudorata menzogna. Il trionfo del quarto d'ora, la soluzione del problema della giornata, il riconoscimento legale dei diritti che altri devono poi concedere; l'attesa del proprio benessere della sapienza, dell'onestà, dall'attività di altri, sono tutti palliativi, tutti ritardi, tutte illusioni, tutte mistificazioni.

La rivoluzione non è un capriccio, non è una degenerazione, non è una malvagità, ma è una necessità. Bisogna che ogni uomo possa assestarsi sulla terra come egli vuole, bisogna che si senta completamente libero nei suoi atti e nel suo pensiero, bisogna che l'individuo non s'imponga alla collettività, come la collettività all'individuo, e ciò non può venire se non col trionfo della grande rivoluzione livellatrice e liberatrice di tutte le ingiustizie, di tutte le miserie e di tutte le schiavitù. Solo allora si verrà stabilendo il vero equilibrio sociale, che darà inizio ad una novella gagliarda vita che sarà veramente vissuta da ogni individuo, perché tutti educati alla scuola dell'operosità e della libera iniziativa.

Come già in altro punto di questo modestissimo lavoro ho detto, saranno gli stessi bisogni che regoleranno i rapporti fra individui, collettività e popoli; saranno i bisogni che regoleranno le attività, le iniziative, la produzione e gli scambi dei prodotti. Però bisogna che anche i rivoluzionari e gli anarchici un po' alla buona, comprendano che la rivoluzione non è la rottura di un vetro, la ribellione sciocca alle guardie in un momento di sbornia, ma è l'azione costante, coscientemente ribelle a tutte le presenti ingiustizie, a tutte le attuali concezioni economiche politiche. Bisogna fare il grande vuoto all'attuale edifizio sociale, sottrargli quanto più sta in noi i difensori ed i coadiuvatori, non bisogna lasciarci assorbire né moralmente né finanziariamente, non bisogna alimentarlo, ma scavargli l'abisso che lo travolga. E voi, o lavoratori di campi e delle officine, voi che pur seminando e mietendo ciò che è il frutto delle fatiche vostre dovete tutto consegnare a chi nulla produce, voi che costruendo macchine, case, mobili, vesti, oggetti di bellezza e d'arte dovete rimanere sempre miseri, sempre schiavi, sempre iloti, comprendeteci una buona volta, ascoltate i nostri consigli, cominciate a scacciare lontani da voi i pastori della Chiesa e dello Stato e lo stuolo dei politicanti, ed unitevi alle nostre falangi ribelli che lottano per il trionfo dell'integrale emancipazione umana, per il trionfo del tanto temuto, calunniato ma pur tanto bello e grande ideale dell'Anarchia."

Pasquale Binazzi, La Spezia, 1909.

Padrone di nulla, servo di nessuno

Una frusta ha bisogno di due cose: una mano che la brandisca e una schiena da colpire.
La catena ha bisogno di due cose: della mano che la impone e della mano che ne è stretta.
Ogni gerarchia è fondata sulla servitù. Ogni servitù è fondata su un padrone e su un servo. Il padrone comanda, il servo obbedisce. Il rapporto tra padrone e servo è fondamentale per l'esistenza di ogni forma di dominio. L'uno legittima l'altro, l'esistenza dell'uno è garanzia dell'esistenza dell'altro.

Chi romperà questo circolo vizioso? Non certo il padrone, che ha tutto da perdere. Allora toccherà solo al servo, che non ha nulla da perdere, se non le sue catene. 
Quando ogni servo disobbedirà e si ribellerà al suo padrone. 
Quando tutti i servi, uniti in un sol pugno, sconfiggeranno i padroni.
Allora vi sarà l'avvento della Libertà.

“Chi, per rimanere padrone di ciò che possiede, deve contare sulla mancanza di volontà di altri, è una cosa fatta da questi altri, così come il padrone è una cosa fatta dal servo. Se venisse meno la sottomissione, il padrone cesserebbe di essere tale.”

(Max Stirner)

Dio è morto? Chi se ne frega!

Dio è morto.
L'annuncio risale a oltre un secolo fa. Gli ultimi cento anni sembrano averlo confermato a più riprese. Se c'è stata Auschwitz, non può esserci dio, potremmo dire parafrasando Primo Levi.

Il problema di quest'epoca balorda e sciatta è che non c'è il cadavere. Il cadavere di dio. Nessuno lo ha visto, fotografato, ripreso, postato su Instagram, twittato su Twitter, condiviso su Facebook. La morte di dio può essere dichiarata anche dalla mente più eccelsa del Ventunesimo secolo, nessuno ci crederebbe senza che non ci sia un gruppo whatsapp che ne possa condividere il cadavere.

Dio è morto, o no? La domanda è tornata prepotente, di pari passo col ritorno dell'integralismo, del bigottismo, del sessismo, del razzismo. Forse perché dio non può che esistere per queste persone, per queste anime schiave amanti delle catene, per queste menti indurite, per queste bocche vomitanti odio.

Io so per certo che dio non esista, ma non perdo un minuto a tentar di convincere chi si è barricato dietro il muro della sua folle fede, che utilizza per discriminare chi crede in altri dei o chi, come il sottoscritto, non crede in alcun dio.
Preferisco dedicare il tempo ad abbattere quel muro, a scardinarlo senza pietà alcuna. E alla domanda se dio è morto, io rispondo scrollando le spalle: chi se ne frega.

"Che cosa è dio per la mente che crede, se non il padrone dei padroni, il re dei re di tutto l'universo? È il prepotente massimo."
(Luigi Fabbri)

Il Limite

La filosofia del Limite.
Così il mio professore del liceo ci introdusse Immanuel Kant.
Il Limite come garanzia di verità, come necessità per la conoscenza, come baluardo per la scienza. Altrimenti è metafisica o, peggio ancora, utopia.

La filosofia del Limite era, ed è ancora, molto interessante. Perché rappresenta - omen nomen - la frontiera da valicare, il muro da abbattere, per scoprire se stessi e il mondo. 
Il Limite serve all'Uomo solo come obiettivo da superare, come affermazione da non accettare, come cancello da divellere.
Chi accetta il Limite, accetta le catene e plaude ai carcerieri. 
Crede di muoversi in libertà, invece è sempre recluso in prigione.

"E’ ricercando l’impossibile che l’uomo ha sempre realizzato il possibile. Coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che appariva loro come possibile, non hanno mai avanzato di un solo passo."
(M. Bakunin)

Uscire dal Bosco

Rivoluzione.
Che bella parola, che splendido atto!
Alcuni obiettano, di fronte alla possibilità di una rivoluzione, la necessità che essa sia nonviolenta.
"Il pacifismo, la nonviolenza, in un mondo costruito sulla violenza, non sono forse un'opzione rivoluzionaria?".
Bisogna intendersi, dunque, al fine di evitare fraintendimenti: se per rivoluzione si intende l'abolizione dello stato di cose presenti, è impossibile farlo in maniera non violenta.
Ed è questa la mia personale posizione.
Se per rivoluzione si intende il tirarsi fuori dallo schifo attuale, essere "altro" dal sistema dominante, allora è possibile la scelta nonviolenta. 
Io non ci credo.

La Negazione dell'esistente deve essere positiva, se non vuole cedere al nichilismo.
Per essere positiva non può limitarsi al fuggire nel bosco, come l'amato Waldganger.
Prima o poi, da quel bosco dovrà uscire. E appiccare il fuoco ovunque.

"In un mondo costruito sulla violenza, si deve essere rivoluzionari, prima di poter essere pacifisti."
(A. J. Muste)

Chella cosa là

Ammazzata.
Dal fratello.
Perché amava un ragazzo che aveva un'unica colpa: non era nato uomo, fisicamente. 

L'importanza degli avverbi. 
Fisicamente era nata donna. Mentalmente non lo era mai stata. Sentimentalmente era legata a una donna. Vivevano insieme, facevano l'amore, chiacchieravano, ridevano, litigavano, tenevano il broncio, strizzavano l'occhio, si addormentavano abbracciati. Come miliardi di coppie: niente di più, niente di meno.

Un transessuale amava una donna: impossibile da accettare, in certi posti e per certa gente. Anzi, per certa schifezza di gente. Per certa immondizia umana.
Ora lo so, arriverà qualche garantista liberal e mi spiegherà che anche l'immondizia ha i suoi diritti. Forse ha ragione, non so. In questo momento penso solo alla frase di un intervistato, che stigmatizzava l'atto omicida del fratello:
"Non è accettabile che un fratello uccida la sorella per questi motivi. Se proprio devi, falle nu paliatone!".

Nu paliatone. Perché se ti innamori di un transessuale non meriti di morire, ma è giusto che almeno ti corcano di mazzate.
A te e pure a isso... A essa... Insomma, a chella cosa là.

La Levatrice

Ogni volta che la cronaca nera mi conficca negli occhi e nella mente efferati episodi di violenza, la reazione immediata è di disgusto, di rabbia. Disgusto e rabbia, insieme, distinti senza mai essere disgiunti. Di fronte alla violenza, specie quella più becera, mossa da istinti bassi e pecorili, non si può provare solo disgusto o solo rabbia. Il primo inchioda il freno, la seconda fa ripartire. In direzione ostinata e contraria.

Ma è possibile una società senza violenza? Il Barbuto di Treviri ci spiegò che la violenza "è la levatrice della storia". Levatrice, non madre. Strumento, non causa. Strumento nelle mani del Potere contro la Plebe e, talvolta, strumento utilizzato dalla Plebe contro il Potere. Mezzo della Società contro l'Individuo e, talvolta, mezzo dell'Individuo contro la Società. Queste, però, sono violenze che hanno un metodo, una logica, un fine. Alcuni possono arrivare a giustificarle, tanti possono giungere a comprenderle pur senza giustificarle.

Ma nei confronti della violenza efferata, bastarda, infame, fine a se stessa, non ci può essere comprensione. Non c'è logica, ragionamento, analisi possibile. Difficile trovar la diagnosi, ancor più impervio il sentiero per la prognosi. 

Allora torniamo alla domanda: è possibile una società senza violenza? 
Mi guardo intorno, mi scruto dentro, e trovo un'unica risposta: no. Non è possibile. In alcuni casi, non è nemmeno auspicabile. Utopia inutile e nociva. La violenza c'è, è inevitabile. E' una costante. Il divenire è conflitto, il Conflitto genera violenza: fisica, psichica, economica, sociale, culturale, religiosa, etnica.

Cosa può fare l'Uomo, allora? Può fare in modo che la Levatrice non diventi mai Madre. Impedire alla violenza di diventare cultura. Combattere la cultura della violenza, il machismo, il classismo, il sessismo, il razzismo, il fascismo, prima ancora della violenza stessa. Organizzare la società in piccoli gruppi, con regole condivise e dal basso, senza autorità e senza gerarchia. Così la violenza non sparirà, ma sarà ridotta al lumicino. 
La violenza comincerà ad essere Eccezione, mentre oggi e da sempre è la Regola.

La negazione di Makhno

"Io nego l’autorità in generale, sono avversario di ogni organizzazione fondata sul centralismo, non riconosco né lo Stato né il suo apparato legislativo, sono nemico convinto della democrazia borghese e del suo parlamentarismo – considerando questa forma sociale un ostacolo alla liberazione dei lavoratori.

In una parola, insorgo nei confronti di ogni regime basato sullo sfruttamento dei lavoratori."

(Nestor Makhno)

Agli spiriti giovani

"Attenti, o giovani spiriti!
La guerra contro l’uomo-individuo fu incominciata da Cristo in nome di Dio, fu sviluppata attraverso la democrazia in nome della società, minaccia di completarsi nel socialismo, in nome dell’umanità.
Se non sapremo distruggere in tempo questi tre assurdi quanto pericolosi fantasmi, l’individuo sarà inesorabilmente perduto.
Bisogna che la rivolta dell’“io” si espanda, si allarghi, si generalizzi!

Noi – i precorritori del tempo – abbiamo già acceso i fari!
Abbiamo acceso le torce del pensiero.
Abbiamo brandito la scure dell’azione.
E abbiamo infranto.
Abbiamo scardinato!
Ma i nostri “delitti” individuali devono essere l’annuncio fatale della grande tempesta sociale.
Quella grande e tremenda tempesta che frantumerà tutti gli edifici delle menzogne convenzionali, che scardinerà i muri di tutte le ipocrisie, che ridurrà il vecchio mondo in un mucchio di macerie e di rovine fumanti!

Perché è da queste macerie di dio, della società, della famiglia e dell’umanità, che potrà nascere rigogliosa e festante la nuova anima umana. Quella nuova anima umana che sulle rovine di tutto un passato canterà la nascita dell’uomo liberato: dell’“io” libero e grande."

(Renzo Novatore - Verso il Nulla creatore)

Sul Vuoto

Il Vuoto. 

L'errore più comune è pensare solo a come riempirlo, invece di accettarlo per quello che è: Negazione. L'Essere umano è spaventato dai NO, vuole comode certezze, affermazioni sicure, cose tangibili. 

Il Vuoto non è tangibile, per le masse beote e pecorili. Esse non riescono a toccarlo, ad assaporarlo, a sentirlo. Per questo ne sono spaventate, anzi terrorizzate. Vivono con lo scopo primario di riempire il vuoto delle loro esistenze perché non sono in grado di gestirlo. 

E come lo riempiono? Come colma il proprio vuoto il popolo bue? Incapace di creare una esistenza da una Negazione, si limita a negare una esistenza in nome di una presunta morale o, peggio ancora, fa appello a fantomatiche tradizioni. Non avendo idee e valori nuovi, una umanità nova per cui combattere, riesce soltanto ad avere qualcosa contro cui imbracciare le sue spuntate, vetuste e anacronistiche armi. 

Tutto questo ha un solo risvolto positivo: la lotta, il Conflitto. In assenza di ciò, non esisterebbe Vita. 

"Finché non trovi qualcosa per cui lottare ti accontenti di qualcosa contro cui lottare." 
(Chuck Palahniuk, Soffocare)

Onda

 In ogni lotta, sociale, politica o culturale, è necessaria l'armoniosa fusione di gentilezza e fermezza.

A volte prevale la prima, a volte la seconda, in una successione dinamica simile a un'onda.


Sia tu un onda.

Sia tu quell'onda.

Non temere gli scogli.

Anzi, fai in modo che siano gli scogli a temere te.


Cristianesimo e Democrazia

"La nostra epoca è un’epoca di decadenza. La civiltà borghese-cristiano-plebea è giunta da parecchio tempo al punto morto della sua evoluzione...
È giunta la democrazia!
Ma sotto il falso splendore della civiltà democratica, i più alti valori spirituali sono caduti infranti.
La forza volitiva, l’individualità barbara, l’arte libera, l’eroismo, il genio, la poesia, sono stati scherniti, derisi, calunniati.
E non in nome dell’“io”, ma della “collettività”. Non in nome dell’“unico”, ma della “società”.

Così il cristianesimo – condannando la forza primitiva e selvaggia del vergine istinto – uccise il “concetto” vigorosamente pagano della gioia terrena. La democrazia – sua figliola – lo glorificò facendo l’apologia di questo delitto e celebrandone la bieca e volgare grandezza...
Ormai lo sappiamo!
Il cristianesimo fu la lama avvelenata piantata brutalmente nella carne sana e palpitante di tutta l’umanità; fu una fredda ondata di tenebra spinta con furia misticamente brutale ad offuscare il tripudio sereno e festante dello spirito dionisiaco dei nostri padri pagani.
In una fredda serata invernale fatalmente piombata sopra un caldo meriggio d’estate! Fu egli – il cristianesimo – che sostituendo il fantasma del “dio” alla realtà palpitante dell’“io”, si dichiarò nemico feroce della gioia del vivere, e si vendicò canagliescamente colla vita terrena.

Col cristianesimo la Vita fu mandata a rimpiangere nei paurosi abissi delle più amare rinunce; fu spinta verso i ghiacciai della rinnegazione e della morte. E da questa ghiacciaia di rinnegazione e di morte nacque la democrazia...
Poiché essa – la madre del socialismo – è figlia del cristianesimo."

(Renzo Novatore - Verso il Nulla creatore)

Sulla coerenza

"Niente può costituire seriamente un dovere, nemmeno la vita, o l’impulso che essa ci detta. Niente può impegnarci se non liberamente, cioè nella libertà. Ma l’esistenza così come la conosciamo non è libera, mentre l’ideale delle libertà è un lumicino di residuo, una larva di compassione. Certo, l’accordo che abbiamo “liberamente preso”, il cosiddetto “libero accordo”, ci impegna. Ma è stato veramente preso in modo “libero”? Non è stato preso in questo modo. Non c’è niente nella società che può essere preso in tal modo, in quanto le condizioni dell’esistenza, comunque valutate nella loro possibile clemenza parziale, sono coatte. Se io mantengo l’accordo preso, lo faccio perché voglio acquisire una merce pregiata, la correttezza, la quale ha mercato ottimo e può aprirmi tutte le porte. È ancora la volontà di potenza con il suo afflato chirurgico che regge l’accordo cosiddetto libero, non un principio etico che, come abbiamo visto, non può fondarsi sull’interesse all’acquisizione propugnato dalla volontà. In questo modo nemmeno la coerenza può aspirare al principio etico che sembra suggerire a prima vista. Si è coerenti perché si cerca il rispetto degli altri, e in fondo di se stessi, ma questa ricerca è ancora una volta un progetto della volontà di potenza, trovandomi sicuramente a mal partito in rapporti inquinati da una scarsa considerazione che gli altri si sono fatta del mio modo di mantenere gli impegni presi. Un buono o un cattivo giudizio dipende dalla conformità a certe regole, ma del giudizio stesso, se si prescinde dalle regole, non resta nulla. Dovrebbe restare ciò che è buono o cattivo, ma questo, nelle condizioni date, era esso stesso prodotto del giudizio, quindi va via con la sua scomparsa."

(A.M.Bonanno - Nichilismo e volontà di potenza)

Inesorabile

INEXORABLE 

Among the floor joints of the cobblestones, 
under boots of armed forces, 
I have lost my verses. 

The world had rhymes 
that I no longer find, 
the leaves do not turn yellow in the sunset, 
kisses have no flavor. 

I live in abstention, 
in the pain that doesn't hurt, 
in the peace that kills every day, 
inexorable. 

I forgot the noise of my heartbeats, 
the taste of my troubles, 
the acrid smell of tear gas in the mind, 
the fiery burning in the eyes 
that generated tears and anger, 
the glacial goodbye. 

Balaclava in the closet, 
between shirts that go tight 
and the scent of the processions 
in memory. 

I live in abstention, 
in the life that can't live, 
with the end slowly approaching, 
inexorable. 

                         (Tyler Nothing)

_______________________________ 

INESORABILE 

Tra le fughe dei sampietrini, 
sotto stivali di forze armate, 
ho smarrito i miei versi. 

Il mondo aveva rime 
che non trovo più, 
le foglie non si ingialliscono nel tramonto, 
i baci non hanno sapore. 

Vivo nell'astensione, 
nel dolore che non fa male, 
nella pace che uccide ogni giorno, 
inesorabile. 

Ho dimenticato il rumore dei miei palpiti, 
il sapore dei miei affanni, 
l'acre odore dei lacrimogeni nella mente, 
il bruciore ardente negli occhi 
che generava lacrime e rabbia, 
il glaciale addio. 

Passamontagna nell'armadio, 
tra magliette che vanno strette 
e il profumo dei cortei nella memoria. 

Vivo nell'astensione, 
nel vita che non riesce vivere, 
con la fine che s'avvicina lentamente, 
inesorabile.

Dall'Odio

Rimbaud diceva che l'Amore non esiste. Fromm gli dava parzialmente ragione, dicendo che l'umanità è naturalmente portata a odiare più che ad amare.
Amore e Odio. Quanti versi si sono scritti su questi due sentimenti. Irriducibilmente avversari, ma non nemici. L'Amore e l'Odio si combattono dall'alba dei tempi, ma l'uno ha bisogno dell'altro. L'Amore, ardente come tizzoni di brace, e l'Odio, glaciale come l'inferno vichingo. Il conflitto tra i due è il motore del divenire: se esistesse solo l'Amore, tutto sarebbe fermo perché non vi sarebbe nessuna forza contraria, nessun vento che spiri in direzione opposta. Stesso dicasi se esistesse solo l'Odio.
Sono uguali e opposti, quindi? Potrebbe sembrar così, ma è un inganno. Chi ama sta bene, non vuole cambiamenti, gode del suo stato e si avvicina, così, inesorabilmente alla morte. Chi odia no, non sta bene. Vuole un cambiamento. Vuole godere la vita e combatte ardentemente la morte. Per questo è portato a rincorrere, a desiderare, a cercare in ogni luogo e in ogni tempo l'Amore.

“Soltanto quelli che sanno odiare sanno anche amare.”
                                                                (P. Kropotkin)

Il Margine

Si è sempre pensato che si potesse vivere solo in due modi: seguendo la corrente del fiume oppure procedendo controcorrente. In realtà esiste una terza modalità: il margine. Si può vivere ai margini del fiume, sulle rive scoscese e fangose, dove i poeti trovano i versi, gli artisti pennellano i colori, i suicidi salutano il mondo, i vendicatori attendono i cadaveri dei nemici.

La Negazione dell'esistenze trascende la sua Distruzione.
Prima di essere Distruttori, dobbiamo essere Negatori.

E' lì, ai margini della cosiddetta società civile, che si trovano i campi fertili ove seminare e far germogliale ogni Rivolta. Lì, alla periferia dell'Impero, ai bordi delle metropoli capitalistiche. 

Se non riuscite ad essere controcorrente, siate Margine.

"Ogni Società che voi costruirete avrà i suoi margini e sui margini di ogni Società si aggireranno i vagabondi eroici e scapigliati, dai pensieri vergini e selvaggi che solo sanno vivere preparando sempre nuove e formidabili esplosioni ribelli! Io sarò tra quelli!"

(Renzo Novatore)

"Quanto manca alla vetta?"

"Quanto manca alla vetta?"
"Tu sali e non pensarci" 

Friedrich Nietzsche - Così parlò Zarathustra
(25 agosto 1900 - 25 agosto 2020)

Essere punto di partenza

Essere significa agire. L'assenza di movimento - fisico o mentale che sia - è assenza di vita. Noi siamo perché agiamo, noi agiamo perché siamo.
Ma la nostra azione è causa o conseguenza? Noi stessi siamo causa o conseguenza della nostra vita?
Siamo noi a deciderlo. Possiamo decidere di seguire il flusso, essere flessibili come canna di bambù al vento, piegarci per non spezzarci, essere "il punto d'arrivo" della nostra Vita: essa ci genera, ci governa, ci domina, infine ci uccide.
Oppure possiamo decidere di fare l'opposto. Essere punto di partenza della nostra Vita. Essere il principio del sentiero, il monte da cui sorge il fiume invece del delta in cui affoga.

"Eh, ma questa è una illusione! La Vita decide per noi!".
Errore. La Vita non decide per noi, ma per se stessa. Se accettiamo il Fato, il Fato deciderà. Se lo combattiamo, se lo neghiamo, il Fato smette di influenzarci. Smette di esistere nella nostra vita, andando ad esistere in quella di un altro.
C'è solo un modo per smascherare questa illusione: non essere creatori, ma distruttori. Se vogliamo essere punto di partenza, dobbiamo distruggere tutti i ponti che ci hanno preceduto e che hanno creato lo status quo.
  
Non c'è creazione che non passi per una distruzione.
Non possiamo creare nulla, se non dalle rovine.

"C'è una bella differenza nel considerarmi il mio punto di partenza o il mio punto di arrivo. Se mi considero in quest'ultimo modo, io non mi possiedo ancora, sono quindi ancora estraneo a me stesso, sono la mia essenza, la mia "vera essenza" e questa "vera essenza" a me estranea è un fantasma dai mille nomi che si prende gioco di me. Siccome io non sono ancora io, il mio io è un altro io (per esempio Dio, l'uomo vero, l'uomo veramente religioso o razionale o libero, ecc.). Ancora lontano da me stesso, io mi divido in due metà, una delle quali, quella non raggiunta e da realizzare, è la vera. L'una, la non vera, deve venir sacrificata: è quella non spirituale; l'altra, la vera, dev'essere l'uomo integrale: è lo spirito. Per questo si afferma: "Lo spirito è la vera essenza dell'uomo" oppure: "L'uomo esiste come uomo solo in spirito". E così ci si butta disperatamente ad acchiappar spiriti, come se in questo modo si potesse prendere se stessi e, andando a caccia di sé, si perde di vista se stessi, quali siamo realmente."
(Max Stirner - L'Unico e la sua proprietà)

Goccia e Tempesta

“Ciao, se state leggendo questo messaggio è segno che non sono più a questo mondo. Beh, non rattristatevi più di tanto, mi sta bene così; non ho rimpianti, sono morto facendo quello che ritenevo più giusto, difendendo i più deboli e rimanendo fedele ai miei ideali di giustizia, eguaglianza e libertà. Quindi nonostante questa prematura dipartita, la mia vita resta comunque un successo, e sono quasi certo che me ne sono andato con il sorriso sulle labbra. Non avrei potuto chiedere di meglio. Vi auguro tutto il bene possibile, e spero che anche voi un giorno (se non l’avete già fatto) decidiate di dare la vita per il prossimo, perché solo così si cambia il mondo. Solo sconfiggendo l’individualismo e l’egoismo in ciascuno di noi si può fare la differenza. Sono tempi difficili lo so, ma non cedete alla rassegnazione, non abbandonate la speranza, mai! Neppure per un attimo. Anche quando tutto sembra perduto, e i mali che affliggono l’uomo e la terra sembrano insormontabili, cercate di trovare la forza, e di infonderla nei vostri compagni. E’ proprio nei momenti più bui che la vostra luce serve. E ricordate sempre che “ogni tempesta comincia con una singola goccia”. Cercate di essere voi quella goccia. Vi amo tutti, spero farete tesoro di queste parole.

Serkeftin! 

Orso, Tekoser, Lorenzo"

Mushin

Quando il guerriero è davanti al suo avversario, non deve pensare all'avversario, né a se stesso, né ai movimenti del corpo del suo nemico. Deve solo combattere trascurando ogni tecnica rigida, pronto unicamente a seguire i dettami del subconscio. Quando colpisce, non è l'uomo, ma il pugno del subconscio dell'uomo, che colpisce.

La sua mente deve immergersi nel vuoto: solo così potrà comandare il corpo. Questo vuoto mentale non è una mente vuota, priva di emozioni, né semplice quiete. È una mente distaccata, "non attaccata". Come uno specchio, non si attacca a nulla e non rifiuta nulla; sa ricevere, ma non trattiene. 

Sulla panchina (Haiku)

Vento d'agosto,

caldo come l'abbraccio

dei miei bambini. 

Ossa e carne

 Il Guerriero non conosce riposo, ma fugge dall'Abitudine. Sa bene che fare sempre le stesse cose può essere più pericoloso del non fare niente, del riposarsi. Allora cambia, come l'acqua cambia forma quando entra in un vaso o cade da una cascata. 

Il Guerriero combatte la routine, perché ripetere all'infinito anche la più prolifica delle azioni la rende inefficace. Mangiare sempre il più prelibato dei cibi alla lunga fa male. Anche il più buono dei vini fa ubriacare. 

Bisogna cambiare: impostazione, atteggiamento, posizione, allenamento. Ieri potenza, oggi resistenza, domani velocità, sempre meditazione. Aver cura dello spirito come si ha cura del corpo. 

Perché un corpo senza spirito è solo un ammasso di ossa e carne. Non è buono nemmeno per il brodo.

Indignados

 E' bella questa indignazione per quei farabutti che si sono magnati altri 600 euro alla faccia vostra e, in parte, mia. 

In parte perché io, pur pagando le tasse in questa sottospecie di Paese, ho poca dimestichezza con le "istituzioni della democrazia liberale", essendo io un antiliberale e, quindi, data la narrazione contemporanea, un antidemocratico.

E' bella questa indignazione perché sono convinto che sparirebbe in otto nanosecondi, appena qualcuno mollasse un ceffone a uno di quei farabutti. "No alla violenza!", direbbero gli indignados in servizio permanente. Quante volte l'ho sentita questa frase: durante i cortei, gli scioperi, le manifestazioni che finivano puntualmente in pestaggi, il global forum di Napoli, i giorni di Genova, ecc... ecc... ecc...

La cosa bella è che per gli indignados di cui sopra aggiungere 600 euro alle migliaia che già si intascano i nostri "rappresentanti nelle istituzioni democratiche del Paese" non è una violenza. D'altra parte c'è una legge che glielo consente, quindi...

Quindi bisogna decidere. O si sta dalla parte della Legge, e allora fanculo l'indignazione, perché hanno diritto a prendersi quei 600 euro e non rompete il cazzo.
O si sta dalla parte della Giustizia, e allora quei 600 euro sono peggio di una violenza: sono una dichiarazione di guerra al popolo.
Anzi, alla Plebe: perché questo ormai siamo.

Tertium non datur.

Discendenza

Vedo molte persone così ossessionate dalla loro linea di sangue da pensare di essere qualcuno solo per eredità. Disgusto assoluto.

Dall'altro lato vedo persone che celebrano culture che non conoscono affatto, solo per via dell'intrattenimento e delle serie tv.

È giusto e onorevole trarre ispirazione dal passato, rispettare e onorare le nostre culture e il nostro patrimonio, essere ispirati e orgogliosi di ciò che siamo, perché i nostri antenati vivono nel nostro sangue.

Ma i nostri antenati vivono anche di quello che facciamo. Soprattutto di quello che facciamo. Se fai il coglione su come fottutamente cazzuti erano i tuoi antenati celtici, e lo fai condividendo meme da pagine di estrema destra che si masturbano sui tuoi libri di storia e sul DNA, è così che mantieni in vita le leggende dei tuoi antenati:

- senza azione, cercando di rubare la loro stessa gloria per glorificarti senza una fottuta singola azione, come un parassita, succhiando le loro anime, usando la loro azione per giustificare la tua frustrazione e il tuo ego. Sei debole. Sei senza onore e preferirei essere dimenticato piuttosto che vedere le mie azioni usate da persone come te -

Ho fatto il test del DNA e sono molto interessato all'ascendenza, alla genetica e alla roba, ma come tutto, abbiamo bisogno di autocontrollo. Ho scoperto un sacco di cose incredibili su di me e sulla mia famiglia, ma non permetterò mai a me stesso di essere influenzato dai test del patrimonio nel mio percorso spirituale e marziale.

Ho sangue romano?
Ovviamente. Ma onestamente Roma non è esattamente un grande interesse per me.
Ho ascendenza tra i popoli germanici e slavi che hanno conquistato questa terra? Sì e mi sento davvero ispirato dalla loro potenza anche se non sono culturalmente slavo o tedesco. Siberiano / asiatico centrale? Probabilmente una piccola quantità. Sembra pazzesco eh? Qualcosa che ho sentito da quando ero bambino. Ed è una delle cose più stimolanti per me.
Azteco? Cazzo no. Ma nonostante ciò, amo la cultura messicana.

Problemi con quello? Vi aspetto intorno al fuoco stronzi.

Sono culturalmente ed etnicamente italiano, ma lascia che te lo dica: metti una goccia di rosso in un bicchiere di latte e guarda cosa succede.
Non essere il parassita che succhia il sangue dalle vecchie leggende. 
Sii l'eroe di una nuova saga.


Caos

Non esiste alcun disegno. Non c'è nessun "grande architetto". 
Il fiume scorre da monte a valle
Un corpo nasce, si sviluppa e muore
Il Sole sorge a est e tramonta a ovest.

Perché quella goccia è caduta? Perché non poteva non cadere.
Perché è caduta lì e non qui? Perché non esiste il Caso, inteso come Fato, Destino, Volontà divina.
Esiste il Caos: una cosa accade sempre, ma accade sempre in maniera diversa.
Perché "tutto diviene, nulla è".

Creazione

Sono secoli, sono millenni che ci riempiono la testa con la Creazione. 
Il momento in cui una divinità, forse annoiata dal nulla cosmico in cui viveva, ha deciso di creare ogni cosa, tra cui anche l'Uomo. Col passaggio dal politeismo al monoteismo, la Creazione ha assunto sempre maggiore importanza per le società e gli individui che soggiacevano a un determinato culto monoteista: Yahweh, Dio, Allah, hanno tutti caratteristiche comuni, le loro "creazioni" si assomigliano in maniera incredibile, sono ovviamente onnipotenti e onniscienti, ognuno di loro viene considerato l'Unico Dio dai suoi adepti.
Se la Creazione è opera di un dio, vuol dire che questo dio non è creato. E' un problema che già i filosofi presocratici provarono ad indagare, ricercando il famoso arché, primo motore immobile del divenire. Come può una cosa non creata, un "non-essere", creare ogni cosa, creare "l'essere"? Semplicemente non può, a meno che non si ammetta che il non-essere è, ossia che il Nulla è, il che significa giungere al supremo nichilismo, che è la negazione di ogni possibile culto religioso.

Non potendo dimostrare l'esistenza di dio senza sfociare nel nichilismo, allora il problema della Creazione va ribaltato: dio non è creatore, ma creato. Da chi? Dall'Uomo, anzi da gruppi di uomini che, avendo creato dio, hanno posto limiti a se stessi e imposto limiti e divieti agli altri uomini.
L'Onniscienza e l'Onnipotenza, pertanto, sono falsi miti: nulla si può conoscere completamente o si può governare completamente perché "tutto diviene, nulla è". 
Il problema non è nell'Essere, ma nel Divenire. Non c'è un Essere che crea, ma un Divenire che trasforma, perché

"Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma"

Nella fisica come nello spirito.

Damnatio Memoriae

Dobbiamo vivere affinché di noi ci sia memoria quando moriremo. E se non ci sarà, dobbiamo fare in modo che ci sia almeno una damnatio memoriae, ossia che qualcuno si prenda la briga di ricordarsi di noi per farci dimenticare dagli altri.
Questo non vuol dire che dobbiamo vivere come asceti, come eremiti, distanti e schifati dalle cose terrene. Al contrario, significa che dobbiamo mangiare la vita, bere i suoi vini fino a ubriacarci, farci l'amore con trasporto e passione, sempre pensando che vivere non sia solo questo. Abbiamo anche uno spirito: anche lui ha bisogno di cibo, di vino, di sesso. La vita del corpo è molto più breve di quella dello spirito e del corpo non ci sarà memoria; perciò non perdiamo tempo ad arrabbiarci per le cose infime e a ingozzarci come se non ci fosse un domani. Un domani c'é, è per il nostro spirito, è per la gloria eterna.

"Rispetto a tutte le altre una sola cosa preferiscono i migliori: la gloria eterna rispetto alle cose caduche; i più invece pensano solo a saziarsi come bestie"
(Eraclito)

Respiro divino

La natura ci da tutto ciò che ci serve.

Inclusa la sensazione di curiosità che ci permette di trascendere i limiti umani e avventurarci al di là della sicurezza e della moderazione.

La natura è il respiro divino che accende in noi la fiamma di quella furia combattiva che deve e vuole trovare la ragione dell'esistenza.

Essa non ci impone libri o un dogma, ma ispira soltanto una feroce necessità di sfidarla, consci di quei ricordi ancestrali di sopravvivenza e lotta.

Afa

Afa d'estate:
sudano i pensieri,
soffre il cuore.

No prejudice

Non lodare il giorno finché non è sera. 
Non lodare il ghiaccio finché non lo hai attraversato.
Non lodare la birra finché non l'hai bevuta.

Il pugno che intercetta

Barriere, steccati, etichette.
Se non ci fossero, Laggente si perderebbe. Ha bisogno di limiti, di sensi unici, di divieti d'accesso. Vista la totale incapacità di autogestirsi e autogovernarsi, Laggente ha necessità di incasellare ogni aspetto dell'esistenza. Kant, filosofo che non ho mai amato, lo aveva capito benissimo, per questo ha impostato tutta la propria filosofia sul concetto di limite. Ed è per questo che tutti coloro i quali proponga il superamento del limite, l'incamminarsi su sentieri mai battuti, la fuoriuscita dagli steccati, l'abbattimento delle barriere, lo straccio delle etichette, vengono considerati folli, criminali, deviati e devianti.
Eppure è proprio così che si dovrebbe vivere: ogni conoscenza acquisita andrebbe considerata un punto di partenza per nuove conoscenze, nuove esperienze, nuovi sentieri. Ogni sistema andrebbe studiato solo al fine di superarlo, modificarlo, aggiornarlo, contestualizzarlo. Ogni rigidità andrebbe combattuta, ogni semplicità andrebbe promossa.

Nessuna via come via.
Nessun limite come limite.

Combattimento

Sotto i gerani -
non contro, ma insieme
all'avversario.

Mele marce

Un sistema produce ciò che gli serve. Se produce inutilità, vuol dire che gli serve inutilità. Se produce mele marce, vuol dire che gli servono mele marce. E' un controsenso? No, per niente. Il negativo serve ad abbellire il positivo, a farlo sembrare ancor più positivo, a renderlo necessario, inattaccabile, da difendere. Così chiunque vorrà combattere quel poco di buono che c'è nel Sistema, perché quando si abbatte una casa avanzano anche mattoni sani, ma la casa comunque deve andare a terra, verrà tacciato di essere un nemico, un reietto, un folle, un cattivo, un criminale.
Più mele marce ci sono in giro, più varranno le poche mele buone, più Laggente farà a gara per accaparrarsele, per difenderle, per elogiarle. Ogni crostata di mele sembrerà più buona, visto che tra tante mele marce abbiamo selezionato le uniche sane. Se le mele fossero tutte sane, non ci sarebbe mercato. E il Sistema, senza mercato, muore.

Marce non sono le mele, ma l'albero che le produce.
E un albero marcio non va abbellito: va abbattuto.

Cretinismo astensionista

"In una sua lettera al Gambuzzi (Locarno, 16 novembre 1870), Michele Bakunin scriveva di essere lieto che egli fosse tornato a Napoli per cercare di essere eletto deputato e soggiungeva:

«Forse ti meraviglierai di vedere che io, astensionista deciso ed appassionato, spinga ora i miei amici a farsi eleggere deputati. Glì è che le circostanze e i tempi sono mutati. Anzitutto i miei amici, cominciando da te, si sono talmente agguerriti nelle nostre idee, nei nostri principi, che non c'è più pericolo che possono dimenticarli, mortificarli, sacrificarli, e ricadere nelle loro antiche abitudini politiche. E poi, i tempi sono diventati talmente seri, il pericolo che minaccia la libertà di tutti i paesi talmente formidabile, che bisogna che ovunque gli uomini di buona volontà siano sulla breccia, e che i nostri amici soprattutto siano in una tale posizione che la loro influenza diventi quanto più efficace è possibile. Cristoforo (Fanelli) mi ha promesso di scrivermi e di tenermi al corrente delle vostre lotte elettorali che m’interessano al massimo grado». 

Fanelli fu eletto deputato di Torchiara nel dicembre 1870 e Friscia fu rieletto in Sicilia. Bakunin vedeva nell'elezione a deputati dei più attivi organizzatori della I.a Internazionale un potenziamento di questa, per le agevolazioni materiali (viaggi gratuiti), per la possibilità di relazioni più estese, per una maggiore influenza sulle masse nonché una maggiore libertà di propaganda. Di fronte all'istituzione parlamentare egli rimaneva antiparlamentarista ed astensionista ed il suo atteggiamento del 1870 non è affatto da avvicinare a quello di Andrea Costa e nemmeno a quello di F.S. Merlino. 
Per Bakunin il problema era di strategia e non di tattica. Il non distinguere la prima dalla seconda conduce al cretinismo astensionista non meno infantile del cretinismo parlamentarista. 

Quale differenza corre tra la strategia e la tattica? Mi servirò di un esempio semplicissimo, al quale non va attribuito un significato che non vada oltre a quello dimostrativo. 
Mi trovo asserragliato in casa, assediato da una turba di fascisti che gridano: «A morte!». 
Accorrono i carabinieri che cercano di impedire agli assedianti di sfondare la porta di casa mia. Sarebbe idiota e pazzesco che mi mettessi, dalla finestra, a sparare su quei carabinieri. Se agissi così compire un enorme errore strategico. 

Mi trovo in una manifestazione di piazza. I carabinieri sparano sui manifestanti. Prendo la parola e spiego alla folla che i carabinieri rappresentano il potere repressivo dello Stato, che come tali dovrebbero trovare di fronte a loro manifestanti armati e decisi, ecc. ecc.. Se parlassi, invece, dei carabinieri che arrestano i pazzi, che salvano la gente nelle inondazioni, ecc. cadrei in un errore tattico. 

Chiarita la differenza sopraccennata, si pone il problema: se è evidente che il parlamentarismo non può essere conciliabile con l'anarchismo, l'astensionismo è per gli anarchici una questione tattica o una questione strategica? 
Nel 1921 mi sono, per la prima volta, posto questo problema, in seguito a questa piccola avventura. Il mio portalettere era un socialista. Vedendo che ricevevo giornali di sinistra, mi trattava con una certa familiarità, benché non avessimo mai scambiato che dei saluti o dei rapidi commenti sulla situazione politica, e mi mostrava la sua simpatia domandando ai miei familiari, quando non mi vedeva: «E Camillo? Come sta Camillo?». Non lontano da casa mia vi era una casa operaia abitata da socialisti e da comunisti e quando vi passavo davanti, le sere di primavera o di estate, gl’inquilini che stavano godendo la freschezza vespertina mi salutavano cordialmente, benché non avessi mai avvicinato che uno di loro. 
Il calzolaio, davanti alla botteguccia del quale passavo ogni giorno, mi salutava anch’egli benché non fossi suo cliente. 
Le perquisizioni, gli arresti, il vedermi di frequente in compagnia di operai mi avevano cattivato la simpatia del «popolo» del quartiere. Ma ecco che un pomeriggio vedo entrare nel mio studio il portalettere e altri giovanotti a me sconosciuti. Si era in giorni di elezioni politiche e venivano a prelevarmi come elettore. «Abbiamo l'automobile!» mi dicevano. Ed io: «Se volessi votare andrei a votare a piedi o in tramvai; non è per pigrizia che non vado le urne». E... qui tenni loro una lezione di anarchismo, della quale, certamente per colpa mia ma anche un po’ perché erano caldi della «battaglia elettorale», capirono così poco che se ne andarono con dei: «Ce ne ricorderemo!» da sanculotti del 1789. Lo stesso giorno mi accorsi che il «popolo» del quartiere mi aveva giudicato «disertore» e che la mia... popolarità era compromessa. 
Il guaio è che, per la prima volta, mi sono chiesto se l'astensionismo è sempre opportuno. Chi sa che cosa siano state le elezioni politiche del 1921 mi scomunicherà, forse, ma certamente non mi fucilerà se dirò che mi sono astenuto dal fare propaganda astensionista e che mi sono messo contro i vestali dell'anarchismo per difendere quei pochi compagni dell'Unione Anarchica Fiorentina (due o tre) dall'ostracismo al quale erano stati condannati per essere andati alle urne. Dicevo, allora come oggi: l'errore è di strategia e non di tattica, è peccato veniale e non peccato mortale. 

Ma i vestali concludevano che ero «troppo giovane» per non dirmi che non avevo capito niente dell'anarchismo. 
Il richiamo ai principi a me non fa né caldo né freddo, perché so che sotto quel nome vanno delle opinioni di uomini e non di dei, delle opinioni che hanno avuto fortuna per due o tre anni, per decenni, per secoli anche, ma che, poi, sono finite per sembrare barocche a tutti. Le eresie di Malatesta sono, oggi, dei principi sacrosanti per tutti i malatestiani. Ora è un fatto che Malatesta, non essendo né prete né megalomane, ha esposto delle idee come opinioni e non come principi. I principi sono legittimi soltanto nelle scienze sperimentali e, allora, non sono che formulazioni di leggi, formulazioni approssimative. 

Un anarchico non può che detestare i sistemi ideologici chiusi (teorie che si chiamano dottrina) e non può dare ai principi che un valore relativo. Ma questo è un argomento che richiederebbe particolare sviluppo e ritorno a bomba: ossia all'astensionismo. 
Come constato l’assoluta deficienza della critica antiparlamentare della nostra stampa, lacuna che mi pare gravissima, così non sono astensionista nel senso che non credo, e non ho mai creduto, all'utilità della propaganda astensionista in periodo di elezioni e mi sono sempre astenuto dal farla se non occasionalmente e a tu per tu con qualche individuo passibile, secondo me, di passare dalla scheda al revolver. 


Il cretinismo astensionista è quella superstizione politica che considera l'atto di votare come una menomazione della dignità umana o che valuta una situazione politica-sociale dal numero degli astenuti delle elezioni, quando non abbina l'uno e l'altro infantilismo. 
Del primo ha fatto giustizia Malatesta, che scrivendo a Fabbri nel maggio 1931, osservava che molti compagni danno un'estrema importanza all'atto di votare e non capiscono la vera natura della questione delle elezioni. Malatesta citava dei tipici esempi. 
Una volta, a Londra, una sezione municipale distribuì dei bollettini per domandare gli abitanti del quartiere se volessero o no la creazione di una biblioteca pubblica. Vi furono degli anarchici che, pur desiderando una biblioteca, non vollero rispondere al referendum perché credevano che rispondere sì fosse votare. A Parigi e a Londra, degli anarchici non alzavano la mano in un comizio per approvare un ordine del giorno rispondente alle loro idee e presentato da un oratore che avevano calorosamente applaudito... per non votare. 
Se domani si presentasse il caso di un plebiscito (disarmo o difesa nazionale armata, autonomia degli allogeni, abbandono o conservazione delle colonie, ecc.) si troverebbero ancora degli anarchici fossilizzati che crederebbero doveroso astenersi. 

Questo cretinismo astensionista e così estremo che non vale la pena di soffermarvici. Vi è, invece, ragione di esaminare il semplicismo astensionista. Nella lettera sopra citata, Malatesta ricordava che quando Cipriani fu eletto deputato a Milano dei compagni furono scandalizzati perché, dopo aver propagandata l'astensione, egli, Malatesta, si compiacesse del risultato dell'elezione: «Dicevo, e lo direi ancora, che poiché vi sono coloro che, sordi alla nostra propaganda, vanno a votare, è consolante vedere che votano per un Cipriani piuttosto che per un monarchico od un clericale - non per gli effetti pratici che la cosa può avere, ma per i sentimenti che essa rivela». 

Ora, vorrei poter proporre a Malatesta questo quesito: se un trionfo elettorale dei partiti di sinistra fosse un tonico rialzante il morale abbattuto della classe operaia, se quel trionfo permettesse il discredito degli esponenti di quei partiti e avvilisse al tempo stesso le forze fasciste, se quel trionfo fosse una conditio sine qua non degli sviluppi possibili di una rivoluzione sociale, come un anarchico dovrebbe comportarsi? 

Si risponderà che tutte queste ipotesi non sono che fantastiche, ma questa risposta non elude il problema: se un anarchico valuta una data situazione politica come richiedente eccezionalmente la partecipazione degli anarchici alle elezioni, cessa costui di essere anarchico e rivoluzionario se pur non svolgendo una propaganda che alimenti le illusioni elettorali e parlamentariste, se pur non cercando di rompere la tradizione teorica e tattica dell'astensionismo, va a votare senza illudersi sui programmi e sugli uomini dei partiti in lista, ma, anzi, volendo contribuire ad ottenere che svaniscano le illusioni che le masse nutrono nei riguardi di un governo popolare, volendo contribuire ad ottenere che le masse vadano oltre loro pastori? 
Che quell’anarchico possa errare nella valutazione del momento politico è possibile, ma il problema è: se giudicando così un momento politico ed agendo di conseguenza egli cessa di essere anarchico.

Il problema, insomma, è questo: l'astensionismo è un dogma tattico che esclude qualsiasi eccezione strategica? 
È una domanda che rivolgo a quanti oggi infieriscono su quegli anarchici spagnoli che hanno ritenuto utile non alimentare l’astensionismo. Ma prima di rispondere sul caso specifico, mi si permetta di esporre come vedo la questione dell’astensionismo nella situazione spagnola, che non va affatto assimilata a quella francese." 


Camillo Berneri, “L’Adunata dei Refrattari”, New York, 25 aprile 1936

La casa di Kyōko

"Credere che si debba essere felici per il solo fatto di vivere, pur conducendo un'esistenza orrenda, è un modo di pensare da schiavi; pensare che sia piacevole avere una vita ordinaria e confortevole, è il modo di provare emozioni degli animali; gli uomini, però, diventano ciechi pur di non vedere che non vivono e non pensano da esseri umani. La gente si agita davanti a un muro buio e sogna di comprare lavatrici elettriche e televisori, aspetta con ansia il domani anche se esso non porterà a niente. Ed è lì che compaio io, e per il solo fatto che mostro la realtà nella sua crudezza, si scatena un gran trambusto, tutti si terrorizzano, si ammazzano o compiono un doppio suicidio. Io mostro la forma esatta del tempo, come le vendite rateali o le assicurazioni, soltanto che di sicuro sono più gentile; e poi metto in evidenza il tempo che rotola, quello obliquo, quello accelerato, vale a dire il tempo reale; invece gli addetti alle vendite rateali mostrano il tempo del finto perbenismo, quello piatto, quello edulcorato."

Essere è Nulla

Il Nulla è il contrario di ciò che vediamo, perché è l'unica cosa che non vediamo.
Ciò che vediamo è Apparenza, ossia il contrario dell'Essere.
Perciò, il Nulla è Essere o, per dirla meglio, l'Essere è Nulla.

Non non siamo mai, se non per noi stessi e dentro noi stessi.
Tutto ciò che siamo per gli altri è Apparenza, infatti noi possiamo apparire in un modo a qualcuno e in un modo opposto a qualcun altro.
Solo noi possiamo scoprire chi siamo, conoscere noi stessi. E nemmeno è detto che in una vita riusciamo a scoprirlo. Se mai ci riuscissimo, scopriremmo di essere Nulla, perché se fossimo qualcosa tutti potrebbero scoprirlo e saremmo per tutti quella cosa e nient'altro che quello.
Cosa, appunto, impossibile.

La sfida del Dolore

Il dolore è una sfida per chiunque ha realizzato che la soluzione ai problemi personali non è la vittimizzazione ma la ferrea disciplina e severità.

Queste due cose sono l'unica vera chiave verso la libertà, un concetto che chi ha il coraggio di inseguire , scoprirà presto non essere fatto di spensieratezza e piacere.

Se non fosse così, la virtù stessa non avrebbe senso di esistere, in quanto la tanto mitizzata libertà non richiederebbe il minimo sforzo.

Il pensiero del fuorilegge è un pensiero pericoloso , dopotutto.
Qualsiasi membro , supporter o simpatizzante non può pensare in mezzi termini o fornire spiegazioni a chi è pronto a volersi assicurare di avere a che fare con qualcuno dal pensiero socialmente o politicamente corretto. 
In caso contrario ha già fallito anche solo a mantenere una finta maschera di durezza generata dalla propria pochezza di spirito.

Ficcatelo nella cazzo di testa : qualsiasi sub cultura , movimento , religione, culto, partito o idea incentivata dai più e dall'alto non è e non sarà mai né ribelle o rivoluzionaria. È un prodotto che vi piace e che quindi vende. 
Fanculo ai paladini della morale condivisa.