Mi capitò un libro tra le mani. Trattava di taoismo e di arti marziali, mia antica passione. Mi colpì subito una metafora: bisogna essere come la canna di bambù, che si piega al vento senza mai spezzarsi. Poche pagine dopo vi era un'altra metafora: l'uomo che vuole essere quercia vedrà i suoi rami spezzarsi sotto il peso della neve che cade; l'uomo che saprà essere salice piegherà i suoi rami fino a far cadere la neve in terra.
Entrambe le metafore, in pratica, riprendevano l'antico adagio "meglio piegarsi che spezzarsi". Quel giorno, leggendo quel libro, promisi a me stesso e al mondo che avrei preso la strada opposta, in direzione ostinata e contraria. Mi sarei spezzato, ma non mi sarei piegato. Di fronte al padrone, di fronte alla società, di fronte agli usi e costumi del mio tempo, di fronte alle mode del momento.
"Meglio spezzarsi che piegarsi", mi ripeto da quel giorno.
Anni dopo, assecondando il più antico dei miei vizi, ovvero la Poesia, mi imbattei in un libro di un tale. Erich Mühsam, questo era il suo nome. Poeta tedesco, secondo le antologie. Poeta libero, mi parve immediatamente. Lessi i versi di una sua poesia, Il Prigioniero. Quei versi, ancora oggi, mi danno ragione:
"Non ho imparato per tutta la mia vita
a piegarmi ad una costrizione estranea.
Adesso mi hanno incarcerato
allontanato da moglie e opera.
Ma anche se mi ammazzano:
Piegarsi vuol dire mentire!"
(E. Mühsam)
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